Ni terroriste ni terrorisée


terrorizzantiMartedì 11 novembre 2008, prime ore del mattino. Un battaglione di poliziotti mascherati ed equipaggiati di tutto punto per sostenere un combattimento da guerriglia urbana ad alta intensità, circonda un piccolo villaggio, Tarnac, nel cuore della Francia. Nello stesso momento altri guerriglieri dello Stato irrompono nelle case di altre persone, a Parigi, a Rouen e in qualche altra provincia della nazione. Le immagini diffuse dai media ricordano quelle dei poliziotti italiani quando hanno catturato Totò Riina, il cosiddetto capo della mafia. Anche se non c’era nessuno ad applaudirli questa volta. Al termine della mattinata la ministra dell’interno francese sostiene di avere autorizzato e diretto una operazione di polizia, denominata Taiga, mirante al fermo di una trentina di persone fra le quali ben dieci (quattro uomini e sei donne, tutte tra i 23 e i 34 anni, tranne una persona di 64 che i giornali dicono essere la madre di una delle donne coinvolte nell’operazione e la cui colpa sembra essere quella di andare a trovare troppo spesso la figlia), sono state tratte in arresto utilizzando le misure di polizia riguardanti l’antiterrorismo, ovvero senza che alcun magistrato abbia convalidato il fermo. La detenzione in questo caso può essere prolungata (e difatti lo è stata) per ben 96 ore e senza possibilità di vedere i propri legali. In molti tra noi non se ne rendono conto, ma oggi chiunque può essere sequestrato per più giorni sulla base dell’opinione di un poliziotto.

Si tratta, dice la ministra di polizia, subito amplificata da tutti i media, di persone appartenenti a un presunto “movimento anarco-autonomo” le quali, almeno in un primo momento, sono accusate di aver preso parte a una serie di sabotaggi delle linee ferroviarie avvenuti nel precedente fine settimana. Lei assicura che i fermi e gli arresti sono avvenuti in relazione a questi fatti anche se aggiunge, in maniera molto più significativa, che scopo dell’operazione è quello di anticipare il “rischio” dell’allargamento e del rafforzamento di questo movimento di “ultra-sinistra” che, per altro, si sostiene abbia strane relazioni con attivisti di altri paesi europei (come se fosse strano avere amicizie in giro per il mondo). Nei due giorni successivi la stampa, la televisione e le radio si scatenano producendo un evento politico-mediatico che vede via via mettere al suo centro non tanto l’affare dei sabotaggi ma la singolare figura delle persone coinvolte nell’inchiesta, o meglio il loro presunto profilo criminale. Prima cosa che però appare incomprensibile tanto ai media che agli investigatori: questo “gruppo”, di cui viene addirittura designato un “capo”, non ha alcun nome collettivo come ci si aspetterebbe da una organizzazione politica ed è composto essenzialmente da persone che vivono insieme in una comune (definita dai media “libertaria”) nei dintorni di Tarnac. In questo paese oltre a curare una fattoria, con degli animali e un orto, essi hanno preso in carico un piccolo negozio di prossimità, un bar, un ristorante che fa “menu operaio”; in questi stessi spazi essi organizzano serate di musica, di ballo e di cinema per gli abitanti del villaggio. Gli abitanti di Tarnac, dopo un comprensibile momento di smarrimento, infatti fanno quadrato e difendono i giovani della comune, sostenendo l’assurdità del dispositivo poliziesco: altro che terroristi, dicono, questi giovani hanno rivivificato questo villaggio!! Ma, si insinua sulla stampa, delle persone che preferiscono un villaggio a Parigi, il centro della politica e della cultura repubblicana, non paiono già di per sé sospette? Dei giovani “nichilisti” che coltivano la terra e organizzano la socialità in un piccolo comune in effetti sembra essere una contraddizione in termini. Ma anche appare singolare che seppur vivendo per la maggior parte del tempo in paese, questi strani personaggi continuano ad avere intense relazioni con altre città, altre metropoli, altre persone, altre esistenze. Nessuna marginalità, nessun isolamento, nessun segno di autismo. Questa cosa in particolare, poi, del “non avere nome” è per altro inquietante per chi è abituato a gestite identità, a separare gli individui gli uni dagli altri per meglio controllarli tutti insieme, a contrattare con gruppi politici che anzi vivono essenzialmente attraverso la loro rappresentazione ideologica e specialmente mediatica. Per questo, quando delle persone che condividono una forma-di-vita si inserisce attivamente nei conflitti sociali ma non presentano la loro “carta d’identità”, lo Stato deve affrettarsi a produrre un nome, una identità, una ideologia e ovviamente un capo. Classificare e dominare, come recita il titolo di un libro uscito di recente proprio in Francia, è d’altra parte l’attività principale del biopotere moderno. L’inclassificabile, l’anonimo, l’invisibile, il non mediatico, è l’ombra di una estraneità allo Stato. Su questo, non v’è dubbio. Difatti non tardano ad appiccicargli un nome: la “cellula invisibile”, invenzione dei poliziotti ispirati dalla sigla collettiva – Comitato Invisibile – con la quale è firmato un libro che li inquieta moltissimo. A guardare bene ciò che è accaduto in Francia negli ultimi tempi, ci si accorge che questo colpo sferrato verso la comune di Tarnac non viene dal nulla. Da almeno un anno infatti, all’indomani dell’esplosione del movimento anti-CPE, gli organi di potere (tra cui ci mettiamo ovviamente anche i media) avevano cominciato la loro operazione di guerra di contro-insorgenza con una serie di dichiarazioni e di articoli tramite cui hanno costruito l’immagine, l’identità e il profilo criminale di un fantomatico Movimento Anarco-Autonomo Francese. Ricordiamo che gli arresti di questi giorni sono stati preceduti nei mesi scorsi, in modo meno spettacolare, dall’arresto di altri uomini e donne accusati di far parte di questo “movimento” e che, in realtà, partecipavano in quel momento alle lotte contro i centri di detenzione per immigrati in Francia. Da allora si sono susseguite insinuazioni, strani avvertimenti, pseudo analisi socio-politiche sulla “risorgenza” degli autonomi, facendo riferimento esplicito all’esperienza italiana degli anni Settanta. Il vero incubo dello Stato di polizia è ritrovarsi immerso in una situazione di ingovernabilità tale da dover cedere pezzi di sovranità, dal non poter tranquillamente gestire il disastro sociale come meglio gli aggrada ma, anzi, di doversi misurare con una forza contraria e irrapresentabile secondo i canoni della politica. Il dispositivo comunicativo messo in piedi, comunque, è particolarmente rozzo per chiunque abbia un minimo di conoscenza dei movimenti contemporanei, in Francia come altrove, ma serve bene allo scopo che si rivela, infine, in questa grigia mattina di novembre e che, come nel famoso disco rotto, ripete pedissequamente una sequenza che ben conosciamo: “sbatti il mostro in prima pagina”, circondalo di menzogne, infiltralo di calunnie e sospetti e colpisci in questo modo tutti coloro che in quel momento sono coinvolti o quanto meno sono disposti a impegnare la propria vita in modo differente dal come la prescrizione di Stato prevede. Certo si può “contestare”, ma per farlo non solo devi essere mansueto e docile, “determinato ma non violento”, “conflittuale ma colorato” e al limite antagonista purché ben riconoscibile ma devi possedere ciò che fin dall’inizio neutralizzerà buona parte dei tuoi sforzi, ammettendo la tua buona fede: ovvero avere una identità e una rappresentazione attraverso cui acquisisci il diritto a fare una opposizione degna di una “cittadinanza democratica”. Insomma devi fare della vera biopolitica, inserirti nei conflitti della governance per reclamare che le istituzioni si prendano cura di te. Ma se si rivendica la possibilità di creare una forma-di-vita del tutto aliena alla società biopolitica, si entra nell’occhio malevolo della Legge. Se provi ad uscire dai ranghi del cittadinismo divieni un potenziale terrorista. Seconda questione: in un primo momento, come si è detto, l’operazione di polizia è stata giustificata adducendo a motivo – e sostenendo di averne i riscontri – alcuni sabotaggi messi a segno sulle linee ferroviarie e che da soli giustificherebbero l’accusa di terrorismo. A parte il fatto che fin da subito lo stesso direttore delle ferrovie ha dichiarato che chiunque abbia commesso quelle azioni di disturbo (il ritardo di 160 treni sulla tabella di marcia) sapeva bene che non avrebbe messo in pericolo la vita di nessuno, trattandosi non di dispositivi per far deragliare un treno ma di mezzi atti a rallentarne la corsa, e che dunque appare in ogni caso abnorme l’accusa di essere degli atti di terrorismo – si ricordi che la direzione delle ferrovie francesi ha contato in un solo anno 27500 atti paragonabili a quelli contestati ai dieci arrestati – l’altro problema, che si è presentato alla polizia nelle ore immediatamente successive, è che non si aveva alcuna prova materiale che le persone fermate avessero commesso una determinata azione e questo nonostante fossero sottoposte, senza che loro lo sapessero, a pedinamenti continui, anche nel giorno stesso in cui sono avvenuti i sabotaggi. Man mano che passano le ore e la polizia è costretta a confessare di non avere prove “materiali” e i media, imboccati sempre dalle stesse fonti, cominciano allora a costruire un’altra storia di storie. La prima storia è che due dei fermati – il Capo e la sua Compagna, che quadretto perfetto per attizzare la proverbiale curiosità morbosa dei lettori-cittadini… – alcuni mesi prima erano stati negli Usa, avevano pare partecipato a una manifestazione anti-militarista e a delle riunioni con attivisti del luogo, quindi uno di loro aveva perduto lo zaino alla frontiera con il Canada. Nello zaino, subito analizzato dall’FBI, si erano ritrovati volantini e testi di ispirazione anarchica. Fine della storia. Anzi, no. Perché ben due mesi dopo che queste persone avevano lasciato gli USA l’obiettivo della manifestazione anti-militarista (un ufficio di reclutamento di militari per la guerra irakena) era stato fatto segno di un danneggiamento. E quindi? Quindi nulla, pur sapendo e dovendo dire che quelle persone non erano lì al momento del fatto incriminato, si semina il sospetto che comunque possano c’entrare qualcosa: non erano lì a manifestare contro la guerra d’altra parte? Da questo punto di vista allora è possibile che qualsiasi oppositore alla guerra o a chissà che altro misfatto capitalistico, possa un giorno essere accusato di qualsiasi cosa accada a un determinato sito o obiettivo delle proteste. Basta essere stato lì o magari trovarsi nei paraggi. Forse basta solo aver desiderato che un complesso militare o una fabbrica dello sfruttamento vengano distrutte. In effetti è già accaduto molte volte, in Italia stessa. Seconda storia. Tutte queste persone sembra abbiano partecipato negli ultimi anni a molte mobilitazioni, sia in Francia che altrove, insieme a migliaia di altre persone. Sono le lotte contro i CPT, quelle contro il G8, contro le politiche neoliberiste e securitarie, contro la guerra in Irak, le lotte studentesche e così via… Anche qui: e quindi? Quindi, nulla. Il fatto che delle persone che vivono insieme e condividono beni e interessi possano partecipare a delle lotte anticapitaliste è evidentemente qualcosa che produce un surplus di sospetto, un plusvalore di pericolosità… Qualcosa da fermare con i mezzi che l’apparato poliziesco ha a disposizione da almeno 7 anni a questa parte, cioè tutto l’arsenale giuridico post-11 settembre. Un arsenale che sembra essere servito molto più per perseguitare chiunque dissenta dalle politiche imperiali, piuttosto che i militanti suicidi della Guerra Santa. Terza storia. Ci vuole un leader, un capo, un cervello. Senza questa figura autoritaria e mitologica è complicato costruire teoremi politici, quindi ecco servito il Capo che, ovviamente, presenta caratteristiche singolari: proveniente da una “buona famiglia”, ex-dottorando in fuga dall’università, intellettualmente dotato, ha collaborato alla nascita di una rivista politico-filosofica di un certo spessore (si tratta di Tiqqun, i cui materiali in Italia sono stati pubblicati da una casa editrice del calibro di Bollati e Boringhieri…) e via dicendo. La cosa che fa eccitare i media è sempre la stessa: ma come un giovane dalle belle speranze borghesi rifiuta il suo destino e va a vivere in una comune? Evidentemente è un deviante, un paranoico anzi dicono i giornali. Per non parlare poi del fatto che sono ben sei su dieci le donne arrestate. Qui si scatenano nuovamente gli impulsi più beceri e reazionari (“le donne della banda”, dicono i giornali, a ripetere il refrain di vecchi e nuovi film di bassa lega). La curiosità morbosa per delle giovani donne in rottura radicale con le regole della buona educazione e del vivere in maniera civile quasi viene utilizzata come conferma che si tratta di una “setta” promiscua, svergognata e quindi terroristica. Se pensi radicale, poi, magari lo sei anche nella vita e quindi vai punito e fermato prima che tu possa infettare altre vite. Inoltre colpisce l’insistenza con cui diversi media sottolineano che durante la perquisizione a Tarnac sia stata “rinvenuta” una biblioteca molto fornita… Quasi che questa curiosità intellettuale, questo desiderio di studio, questa capacità di autoformarsi fuori dai circuiti ufficiali di università e scuole sia un elemento di colpa. In fondo, in questo mondo nel quale vince chi vende l’immagine di sé più commerciale, non è strano che dei giovani e delle giovani passino il loro tempo a studiare autonomamente e a coltivare un orto? E poi per giunta aggregandosi ad altri che stanchi di vivere sotto il dominio della merce decidono di scendere in piazza? Sì, effettivamente è una prova. Una prova di resistenza. Se così sono le cose sono molti, troppi, i colpevoli per credere che l’Impero di polizia possa fermare la loro insorgenza. Da qualche parte, in un’altra foresta, in una qualunque piega del mare in cui viva una comune che condivida anche solo un elemento con quella di Tarnac già molti stanno pensando alla Insurrezione che viene (titolo del libro uscito in Francia due anni or sono a firma Comitato Invisibile, e messo all’indice durante questa inchiesta). “Il comitato invisibile non non-esiste. Non è un Gruppo, non ha un Capo, non ha dei membri, nessuno decide per nessuno, tutto al contrario dello Stato. Nessun atto di terrorismo, solo amore in circolazione (con il vostro radicamento ci farebbe schifo pure pulirci il culo). Stiamo parlando di intensità, anzi cerchiamo di farla circolare. Non abbasseremo la testa, non cambieremo la nostra forma di vita davanti allo stupro generalizzato di Stato “dimmi chi sei, vediamo a cosa mi puoi servire, se non lo fai ci inventeremo noi un’identità per te, daremo ai milioni di anestetizzati il romanzo criminale di cui avevano bisogno per non pensare a loro, per non pensare al dolore che abbiamo insegnato loro a reprimere ogni giorno insieme alla gioia di una possibile forma di vita diversa, ti diamo il diritto di giudicare e il dovere di autoreprimerti, ti diamo se vuoi la possibilità di pensare, ti diamo gli intellettuali e le intellettuali, li/le puoi ascoltare, puoi leggere dei libri (se hai dato abbastanza sangue per comprarteli), ma non puoi agire, non puoi vivere al di fuori della clinica spettacolare, ti diamo le malattie che Vogliamo, le cure che Vogliamo, i lavori che Vogliamo, il sesso che Vogliamo, le immagini, le paure, i consensi, tutto è già stato deciso”. Da sempre lo Stato ha deciso per noi, da sempre non ha potuto curarsi altrimenti di noi, ciò non sarà mai possibile, da sempre noi ci dobbiamo curare dell’impossibile, dell’impensabile, dell’indecidibile. Il più grande tradimento è pentirsi della vita.”

da http://www.urgence.splinder.com/

7 risposte a “Ni terroriste ni terrorisée

  1. Una notizia che trovo solo qui. Grazie per far girare le informazioni e per aver riportato questo post -lungo, ma decisamente da leggere.

  2. A leggerla viene da pensare che i giorni a venire saranno peggio di quelli appena trascorsi, e va a finire che l’orto ce lo coltiviamo in clandestinità, e le cene con sorrisi, amici e cibi preparati da noi … roba da Brigate Gastronomiche per la Convivialità Proletaria.

  3. grazie per aver fatto girare questo post…
    …potremmo coltivare le verdure nelle aiuole pubbliche??
    ..delle pseudo-selvatiche piante di pomodoro al posto di quei fiori precisi che fan sembrare tutto in ordine…
    proverò a lanciare dei semi…

    urgence

  4. Ciao Urgence, mi sa che proprio le verdure nelle aiuole non funzionino molto, se lanci semi è meglio evitare quelli di piante, tipo pomodoro, che necessitano di trattamenti (verderame).
    Magari prova con verdure molto rustiche

  5. Trasformare un orto selvatico in un punto di forza; resistere alla polizia “morale”; che mille comuni libere fioriscano!

  6. ma io voglio provare veramente!
    quali sono le verdure rustiche resistenti??

    poi se funziona ti faccio sapere!

    grazie…

  7. attacco qui la petizione:

    PETIZIONE

    A SOSTEGNO DEI E DELLE 9 DI TARNAC

    Una recente operazione, largamente mediatizzata, ha permesso di arrestare e incolpare nove persone attraverso la messa in opera della legislazione antiterrorista.

    Questa operazione ha già cambiato natura: una volta stabilita l’inconsistenza dell’accusa di sabotaggio dei cavi elettrici, l’affare ha preso un tono chiaramente politico.
    Per il procuratore della Repubblica, “il fine della loro impresa è di raggiungere le istituzioni dello Stato e di arrivarci con la violenza – Io ripeto con la violenza e non con la contestazione, che è permessa- per disturbare l’ordine politico, economico e sociale”

    L’obbiettivo di questa operazione è molto più grande del gruppo di persone accusate, contro le quali non esiste nessuna prova materiale ma neanche nulla di preciso che possa essere a loro imputato.

    L’accusa di “associazione a delinquere in vista di una impresa terroristica” è più che vaga: che significa una associazione e come dobbiamo intendere questo “in vista di” se non come una criminalizzazione dell’intenzione?

    Quanto al qualificativo di terrorista, la definizione in vigore è così ampia che può essere applicata praticamente a qualunque cosa e possedere questo o un altro testo, andare a questa o un’altra manifestazione è sufficiente per cadere sotto questa legislazione d’eccezione.

    Le persone incolpate non sono state scelte a caso, bensì perchè conducono un’esistenza politica. Hanno partecipato a delle manifestazioni – ultimamente a quella di Vichy, dove si è tenuto un poco onorevole summit europeo sull’immigrazione.

    Loro riflettono, leggono dei libri, vivono assieme in un lontano villaggio.

    Si è parlato di clandestinità: hanno aperto un negozio di generi alimentari, tutti li conoscono nella regione, dove un comitato di appoggio si è organizzato fin dal loro arresto.

    Quello che cercano non è l’anonimato nè il rifugio, ma il contrario: un’altra relazione rispetto a quella, anonima, della metropoli.

    Infine, l’assenza di prova diventa essa stessa una prova: il rifiuto degli accusati di denunciarsi l’un l’altro durante il fermo di polizia è stato presentato come un nuovo indizio del loro sfondo terrorista.

    In realtà, questo affare è un test per tutti noi .

    Fino a che punto accetteremo che l’antiterrorismo possa accusare chiunque quando meglio gli pare?

    Dove si situa il limite della libertà d’espressione?

    Le leggi d’eccezione adottate con il pretesto del terrorismo e della sicurezza sono compatibili a lungo termine con la democrazia?

    Siamo pronti a vedere la polizia e la giustizia che negoziano la svolta verso un nuovo ordine?

    La risposta a queste domande sta a noi darla, iniziando a chiedere la fine delle persecuzioni e la liberazione immediata di quelle e quelli che sono stati accusati per dare l’esempio.

    Questa petizione è stata lanciata da Eric Hazan e dalle edizioni La Fabrique in merito alla questione dei 9 arrestati la scorsa settimana (i cosiddetti “terroristi” del Comité Invisible)
    E’ possibile firmarla con il vostro nome e la vostra qualifica (professione o assenza di professione, statuto o assenza di statuto) e reinviarla all’inidirizzo seguente: lafabrique@lafabrique.fr

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